"In tutta la mia attività alpinistica di scalate non ne ho mai fatte molte; perchè ho scelto la qualità piuttosto che la quantità.“

1961 - Catinaccio. Cima dei Mugoni. Spigolo Sud Est

8 - 11 luglio. Con Marino Stenico.
Passando sul sentiero che, da sotto la Parete dei Mugoni, porta alla forcella che immette in Val Gardeccia, mi sorprese l'aereo Spigolo Nord Est di quella cima torreggiante. Molto pericoloso per l'estrema friabilità della roccia. Un primo tentativo finì male perché ero stato colpito alla spalla da un sasso.
I quotidiani avevano parlato ampiamente di questa scalata nella quale, a comando alterno, eravamo impegnati Marino Stenico ed io. Salita acrobatica e di interesse puramente accademico. Da "Adige", riporto uno stralcio che mi pare illustri bene l'ambiente. "La cima dei Mugoni, enorme monolito di Dolomia principale, senza stratificazioni e con poche oblique fessure, si alza massiccia dal suo piedestallo di ghiaie. Essa si trova ad Est dell'ormai famosa Roda di Vael e quasi alla testata della Busa del Vaiolon. Pur rimanendo incorporato da un lato, sul versante Sud si stacca un grosso torrione quadrangolare di circa trecento metri. Nel punto di contatto del massiccio principale, prendono forma due diedri vertiginosi: il diedro Est, percorso dalla via Vinatzer, e il diedro Sud aperto dalle “mani da strapiombi” del grande Bepi De Francesch. Tra le due vie si staglia diritto, aereo, impressionante, lo spigolo Sud Est...".
Lì era salito il nostro sguardo alla ricerca di un intinerario. "Dove una volontà, là una via...". Abbiamo voluto dedicare quest'impresa a due amici tragicamente scomparsi: Piergiorgio Nichelatti e Filippo Berti. Il primo, ex presidente del gruppo "boci" della SAT di Trento; il secondo, un appassionato arrampicatore rimasto vittima d'un fulmine sulla Dibona alla Roda di Vael.

Pilastro dei Mugoni. Spigolo Sud Est
Marino Stenico in sosta sul pilastro dei Mugoni
Stenico sul pilastro dei Mugoni

1961 - Alpi Marittime. Marguareis. "Via Tino Prato"

22 - 23 luglio. Con Armando Biancardi.
Dell'amico Armando Biancardi ho già detto del suo notevole bagaglio alpinistico parlando della via alla Punta Oreste Gastone. Ma il suo maggiore titolo alpinistico é quello di aver aperto quasi tutte le vie al Marguareis, ripetendo la altre poche, nessuna esclusa. Si sente spesso parlare di "innamorati" della montagna che vivono per essa. L'altro Armando era uno di questi. Ma egli non era né solo uno sportivo né solo un intellettuale. Ma l'uno e l'altro allo stesso tempo. Per questo, accanto all'azione alpinistica, a sua ispirazione, può vantare qualcosa come più di mille articoli su temi legati alla montagna e all’alpinismo. Ha diretto tre periodici (Sucai, Il frondista, Commercio) e dato alle stampe cinque volumi: La voce delle altezze (1956), Cento anni di alpinismo torinese (1963), Venticinque alpinisti scrittori (1989), Racconti impossibili e dintorni (1994), Il perché dell’alpinismo (1995). Ha ricevuto 20 riconoscimenti letterari in campo nazionale e internazionale fra cui due Saint-Vincent, i premi Chamonix e Cortina. Nel 1995 i delegati del Cai riuniti a Cuneo gli hanno assegnato una medaglia d’oro. È stato accademico degli scrittori di montagna (GISM).
Per questo poderoso insieme, e delle "prime" e della parte culturale, io lo considero un "maestro". Da lui ho imparato e continuo a imparare moltissimo.

Marguareis. Via Tino Prato
Aste sul Marguareis
Armando Biancardi

1961 - Pale di San Martino. Spiz D'Agner Nord. "Via Andrea Oggioni"

4 - 5 agosto. Con Franco Solina e Angelo Miorandi.
Dopo la salita dello spigolo di destra questa cima selvaggia presentava un altro problema, forse ancora più difficile, certamente più affascinante: lo spigolo di sinistra. Lo avevo tentato una volta da solo, con due bivacci: uno all'attacco, l'altro a metà spigolo. Ero salito sul "filo del rasoio", forse in un momento poco felice. Fino a che ad un certo punto ebbi paura. Era quel silenzio sepolcrale che aveva influito negativamente sull'animo? Forse, stavo perdendo davvero il senso della misura. Dov'é il punto limite? Ci abituiamo a chiedere a noi stessi sempre di più, fino a quando? Umiliato, sconfitto, annientato, scesi un po' arrampicando e un po' in "doppie".
Tornai in compagnia di Franco ed Angelino. Con due bivacchi, uno alla base e uno a metà, là dove mi ero già fermato, riuscimmo in vetta. Ottocento metri, su roccia compattissima, con estreme difficoltà in "libera". Dedicammo al povero Andrea Oggioni questa grande via. E pensammo che con Fausto si trovasse bene lassù. Da una parte Oggioni, dall'altra Susatti. Un primo e un secondo di corda. Una cordata formidabile impegnata nella scalata al cielo. Su uno dei più bei pilastri della ineguagliabile navata dolomitica.

Spiz d'Agner. Spigolo Nord Est. Via Oggioni
Franco Solina sulla via Oggioni
Andrea Oggioni

1961 - Brenta. Campanil Basso. Parete Ovest dello Spallone. "Via Rovereto"

10 - 11 settembre. Con Angelo Miorandi.
Nel settembre del 1961 mi trovavo al rifugio Brentei e parlando con il re del Brenta, Bruno Detassis, gli chiesi che mi indicasse qualche bella via da fare. "Va a far l'Ovest del Spalon del Bas", mi disse. Io lo presi subito in parola.
Telefonai all'allora presidente della SAT di Rovereto, Bruno Bini, tra l'altro datore di lavoro di Angelo Miorandi, che gli concedesse il permesso di raggiungermi su al Brentei. Infatti il mio amico Camillo Gaifas, che era il cognato di Bruno, il giorno dopo, mi raggiungeva, con Angelo. Il giorno seguente attaccammo la Ovest dello Spallone del Campanil Basso, una parete di ottima roccia sulla quale tracciammo un bell'itinerario che chiamammo "Via Rovereto". Un bel nome per una salita stupenda, con un bivacco e con grandi difficoltà in arrampicata libera.
Mi piace ricordare che, dopo la salita, a notte inoltrata, al Brentei, Bruno era lì che ci aspettava, preparandoci un buon the caldo e un sorprendente grappolo d'uva. Disse semplicemente: "Magné".

Il Campanil Basso e il Campanil Alto
Lo spallone del Campanil Basso
LA via Rovereto sullo spallone del Campanil Basso
Aste sulla Via Rovereto
Miorandi sulla Via Rovereto
Miorandi in bivacco sulla via Rovereto

1962 - Brenta. Cima Tosa. Parete Ovest. "Via città di Brescia"

6 settembre. Nel 1962 dopo la prima salita italiana alla parete Nord dell'Eiger, che é stata inserita, data la sua rilevanza, nelle spedizioni, con Franco aprimmo una bella via sulla parete Ovest della Cima Tosa, alla testata della Vedretta dei Camosci. La chiamammo "Via città di Brescia", in omaggio al mio amico Franco, che é appunto di Brescia, la "Leonessa d'Italia".

Cima Tosa da Ovest
Cima Tosa, la via città di Brescia
Franco Solina

1964 - Marmolada d'Ombretta. Parete Sud. "Via dell'Ideale"

24-29 agosto. Con Franco Solina.
Salendo al passo d'ombretta dal rifugio Contrin nell'estate del 1954, avevamo visto di scorcio la convessa parete d'argento della Marmolada d'Ombretta, segnata da una lunga linea scura che indicava una via ideale.
Dovetti aspettare dieci anni per sentirmi maturo per quell'impresa con Franco Solina. Intanto, la lunga riga che incide il centro della parete, era rimasta intoccabile. Perché quella si preannunciava un passo avanti alle salite dei mostri sacri di quel tempo. Lunedì 24 agosto 1964 siamo all'attacco della via dell'Ideale, un capolavoro che ha segnato il grande alpinismo moderno in Marmolada. Quando Franco Solina ed io aprimmo quella grande via, sui circa quattro chilometri di parete, da forcella Marmolada al Serauta, esistevano complessivamente sette itinerari. Oggi, fra vie, viette, fessure, placche e camini, siamo arrivati a centocinquanta itinerari. Che pena! La più grande parete di roccia delle alpi, la regina delle Dolomiti, declassata a palestra, magari la più grande palestra del mondo. Eppure sulle montagne della terra ci sono infinite possibilità per appagare l'ambizione ed ogni orgoglio più personale. Ma é destino, purtroppo, che l'uomo, ovunque egli passi, abbia a lasciare la traccia di un incanto svanito. Rotto per sempre. E' questo il rimpianto che ci é rimasto dentro in seguito a quella salita, perché a questo mondo niente é perfetto.
Ad ogni modo, la nostra creazione resta una pietra miliare nella storia dell'alpinismo dolomitico, sulla parete d'argento della Marmolada d'Ombretta. Malgrado le ripetizioni in tempi eccezionali, le invernali, le solitarie, la via dell'Ideale rimarrà l'opera d'arte di Aste e Solina.
Di quella nostra salita, unica per bellezza, qualità della roccia, interesse storico per la celebrità della montagna e per il tempo magnifico che ha accompagnato la nostra ascensione, di quell'opera d'arte alpinistica, ricordo le spruzzate d'acqua polverizzate dal vento, che, viste controluce, sembravano polvere di stelle. Allora la via dell'Ideale l'avevo qualificata la più bella salita di roccia pura delle Alpi.
Nella grotta del penultimo bivacco lasciammo, in una bottiglia vuota, un biglietto con queste parole: "Nel nome del Signore, 28 agosto 1964. Questa é la via dell'Ideale. Auguri ai ripetitori".

Marmolada. Parete Sud. Via dell'Ideale (riga scura).
Via dell'Ideale. Parete Sud della Marmolada.
Via dell'Ideale (riga scura in centro) vista da sotto
Via dell'Ideale. Aste e Solina sul pilastro d'attacco.
In doppia sulla via dell'Ideale
Via della canna d'organo e via dell'Ideale (riga scura in centro)

1965 - Marmolada di Rocca. Parete Sud. "Via Canna d'Organo"

13 - 18 agosto. Con Franco Solina.
Fra la Punta Rocca e la Marmolada d'Ombretta una serie di torri orlano la cresta della montagna. Dal rifugio Falier si vede stagliarsi nettissimo un caratteristico campanile, simile a una canna d'organo con un precipite strapiombante spigolone.
Avevamo studiato minuziosamente le molte fotografie prese. Lo scorso anno, tracciando la "Via dell'Ideale", avevamo avuto modo di scoprire altri preziosi particolari e fissarci ancora più nella nostra decisione: aprire la "Via della Canna d'Organo".
Abbiamo lottato con i denti per attrezzare una costola fessurata sulla faccia destra del colatoio. Pioggia, grandine, poi anche la neve. E' inutile ormai. Dovremo bivaccare ancora in questo inferno di pareti dai riflessi sinistri. Lucide d'acqua e foderate, a tratti, da colate e grappoli di mostruose stalattiti di ghiaccio.
Siamo rannicchiati sotto una sporgenza arrotondata. Non c'è la possibilità di indossare i sacchi da bivacco. Le giacche a vento sono inzuppate; pensiamo che é meglio levarle. Il frastuono della cascata che passa ad un metro da noi diventa di minuto in minuto più insopportabile. Saremo capaci di resistere fino ai primi albori?
L'acqua batte, cade, gorgoglia, schizza, rimbalza. Assume voci e rumori sempre diversi e contrastanti. Assordanti e gentili. Mostruosi. Struggenti. Ora voci sconosciute eppure amiche mi chiamano. Ecco sì, distintamente, le voci dei miei cari. La voce di mio padre che dice sempre: "Valà, sta a casa che l'è mèio". Quella di mia madre che è inquieta, addolorata, implorante. Quasi disperata. Mia madre. Mai ho pensato tanto a lei come ora.
Con gli occhi sbarrati stiamo a sperare che il volume d'acqua diminuisca, che il frastuono si vada smorzando.
Il tempo sembra essersi fermato. Mi dolgono terribilmente le ginocchia per la forzata innaturale posizione, mi duole la spalla lussata. Credevo di saperne abbastanza, ormai, di bivacchi, ma questo, il centesimo, è veramente tremendo. Quanto tempo è passato?
Intanto la canna d'organo suona ancora, suona sempre, seppure con minore intensità, ora. Arriva il tanto sospirato mattino e quasi per magia la parete si apre a tratti e mostra strappi di cielo azzurro. Saliamo ora sempre più penosamente, seppure su difficoltà decrescenti a mano a mano che la pendenza addolcisce. Ormai la volontà è in disarmo: sentiamo prossima la meta.
Credo di non avere mai desiderato come ora il calore del sole, la luce, la fine di una salita. Franco un'ultima volta mi raggiunge con l'impossibile carico di roba e ferramenta tintinnante e prima ancora di riprendere fiato, mi stringe con le sue forti braccia in un muto amplesso. Con una incrinatura di commozione nella voce dice una cosa bellissima: "E' meglio che siamo qui soli, Armando".
Sullo sfondo, alcune cordate salgono nel sole la "schiena di mulo" della Punta Penìa. Sono le dieci del diciotto agosto '65.

Marmolada di Rocca. La parete della Canna d'Organo
Via della Canna d'Organo.
La parete della Canna d'Organo vista da sotto.
La Canna d'Organo.
Aste in un passaggio impegnativo.
Aste in bivacco.

1968 - Civetta. Anticipa Nord della Busazza. Parete Ovest. "Via Angelo Bozzetti"

12 - 13 luglio. Con Josve Aiazzi.
Dopo le ripetizioni, per "allenamento", della via Paolo VI al Pilastro della Tofana di Rozes e lo Spigolo degli Scoiattoli sulla cima Ovest di Lavaredo, sempre con Aiazzi, facemmo una bella "prima" sulla parete Ovest dell'Anticima Nord della Busazza. Una sparata di ottocento metri che dedicammo alla memoria di Angelo Bozzetti di Aosta.
Durante la salita mi imbattei in una piccola zolla di fiorellini bianchi e volli prenderne qualcuno. "Non strapparli tutti", mi disse Josve. Ne colsi solo tre che poi mandai alla vedova del povero Angelo ed alla figlia, perchè le parlassero del loro grande marito e papà. Angelo Bozzetti, guida alpina della società della Valpelline, l'avevo conosciuto quando con Franco Solina avevo tentato lo Sperone Cassin alle Grandes Jorasses. Ricordo che, dopo un bivacco alla fessura Allein, flagellati dalla tempesta che rivestì tutta la parete di una corazza di ghiaccio, scendemmo a corde doppie sotto continui scarichi della parete.

"Le scalate e le spedizioni sono descritte, in modo particolareggiato e in ordine cronologico, nel mio primo libro (ora introvabile) PILASTRI DEL CIELO.“